Gabrielle DeRosa è una giovanissima cantautrice pugliese, precisamente di Gallipoli (Lecce). Siamo rimasti molto colpiti dalle sue sonorità e, per questo motivo, abbiamo deciso di farci quattro chiacchiere con lei.
Benvenuta, Gabrielle DeRosa. Da dove nasce la tua passione per la musica?
“Potrei dire che la mia passione per la musica è nata con me. Amo la musica da quando ne ho ricordo, ed ho sempre apprezzato molto quello che adesso definisco il mio genere musicale preferito, anche se da bambina non ne conoscevo il nome! Sono sempre stata una persona creativa, e creare con la musica è stato fin da subito uno dei modi che preferisco per comunicare i miei sentimenti e le mie idee”.
Abbiamo letto che hai composto la tua prima canzone, My life was a dead star, quando avevi 14 anni. Com’è venuto fuori l’idea di questo singolo?
“L’idea di questo singolo è venuta fuori da un momento creativo. Mi piace chiamare così il momento in cui mi viene l’ispirazione per comporre un brano. Non ricordo di preciso da cosa è scaturita l’ispirazione quella volta… È stato tanto tempo fa! Tuttavia, so di certo che deve avermi ispirata qualche dettaglio e da lì ha iniziato a prendere forma. Mi piace cogliere i dettagli ed apprezzare la bellezza delle piccole cose.
Spesso l’arte è un modo di mostrare agli altri il mondo come lo vedo io. La bozza di My life was a dead star, come tutte le mie canzoni, è nata in un momento d’ispirazione. Ricordo che quando mi sono immersa nella scrittura del testo, ho usato un enorme dizionario per essere sicura di scegliere tutte le parole più adatte! Non volevo sbagliare, e non volevo neanche usare un linguaggio troppo lontano dalle mie conoscenze di allora, volevo che fosse emozionante e con un lessico semplice ma accurato”.
Senti, Gabrielle DeRosa: la nostra redazione e il tuo progetto musicale condividono una bellissima caratteristica: siamo entrambi della Puglia. Quanta tradizione locale metti nella tua arte?
“Sono molto affezionata a queste terre, sopratutto al paese dove sono nata. Una mia canzone, Luoghi, è dedicata proprio ad esso. Credo di portarmi dietro la gioia, i colori ed il vento della mia città, poiché da bambina ho vissuto per molti anni in Veneto, e venendo in Puglia solo durante le vacanze ho imparato ad apprezzare ed osservare le tradizioni locali con attenzione.
Amo molto le tradizioni della mia città, e le porto sempre nel cuore. Luoghi parla di una storia d’amore tra due persone, ma la vera storia d’amore è quella che ho con questo mar05e, e con tutti i ‘luoghi comuni’ che per me sono ‘Luoghi speciali’. Anche se dovessi vivere lontano da qui, non potrei mai fare a meno di tornare, anche solo per pochi giorni”.
Nel 2012 inizi il tuo percorso da cantautrice. Ecco, secondo Gabrielle DeRosa, com’è cambiata la figura del cantautore? Come si può declinare il cantautorato in chiave moderna?
“Credo che incontrare il cantautore di una volta sia divenuto un fenomeno raro, e questo è normale se consideriamo i cambiamenti che la società ha affrontato in questi ultimi decenni. La tv non è più in bianco e nero, la tecnologia ha fatto enormi progressi e non si scrivono più tante lettere d’amore.
Dal punto di vista musicale, ci sono molti più interpreti e autori, e mi piace vedere alcuni di questi autori interpretare le canzoni che hanno scritto per qualcun altro. Il cantautore moderno, come quello antico, grida in musica la sua visione del mondo, racconta storie, denuncia situazioni sociali. È la società ad essere cambiata, e il cantautore ne fa parte”.
Negli ultimi anni, hai frequentato diversi festival e concorsi locali. Quant’è importante farsi conoscere con i primi piccoli concerti, oltre a essere performativi online?
“Credo che nonostante la potenza del web, il rapporto col pubblico si viva di persona. Dunque sì, credo che esibirsi davanti a un pubblico in carne ed ossa sia molto importante. Alle prime armi ci si può sentire scoraggiati a volte, ma l’importante è crederci, migliorare e andare avanti. Le soddisfazioni arrivano col tempo per chi non si arrende”.
Gabrielle DeRosa, sei un’artista giovanissima, hai 20 anni e fai parte di quel mucchio che è denominato ‘musica emergente’. Ecco, a tuo avviso, quali sono le caratteristiche che servono per emergere?
“Senza dubbio l’originalità è l’aspetto più importante. In un mondo dove ci sono sempre più artisti, in un’epoca dove tutti possono dire la propria con un click, chi si distingue dalla massa vince. È inutile dire che il talento e la tecnica siano alla base, poiché là fuori ci sono migliaia di artisti bravi davvero.
Un’altra cosa che fa emergere è l’espressività. Sento spesso dire ‘Sì, è bravo ma non mi dà niente’. Al di là dei gusti musicali della gente e delle competenze musicali dell’ascoltatore, vince chi sa scuotere il cuore delle persone, perché a quel punto la sua arte non conosce limiti… Riesce a dare qualcosa di vero ai suoi ascoltatori, qualcosa in cui credere o in cui rifugiarsi”.
A proposito: ci sono tuoi colleghi della “musica emergente” che segui appassionatamente e con i quali vorresti collaborare?
“Certo. Nonostante i tanti impegni, mi piace essere presente ai concerti dei miei colleghi ogni volta che posso. L’unione fa la forza ed è sempre bello collaborare con altri artisti che condividono lo stesso entusiasmo e la stessa voglia di fare. Per questo motivo sono sempre aperta alle collaborazioni che hanno uno scopo comune, quello di creare qualcosa di originale e di bello, che arrivi ai cuori della gente”.
Torniamo alla tua musica: ci puoi raccontare la storia di tuo qualche brano recente?
“Vi ho già raccontato la storia di Luoghi, ora voglio raccontarvi We Believe. Il titolo è omonimo a quello dell’album, e non è un caso: We Believe racchiude in sé il perché di ciò che faccio. Ho scritto questo brano dopo un evento curioso: una lifecoach con milioni di seguaci ha inaspettatamente risposto a un mio messaggio su Facebook dicendomi che il mio sogno stava per realizzarsi e che dovevo solo cantare di più e immaginare di essere ad un mio concerto, enorme, con tantissimi ascoltatori che si divertivano con me.
Appena è finita la conversazione, l’ho fatto ed è nata We Believe. Se notate, la canzone dice ‘I’m joyful / I’m in my room / but the walls are falling / and the wood is coming‘: io ero davvero in questa situazione! Felice e gioiosa, nella mia stanza! Ho immaginato la stanza crollare e diventare un palco enorme, e immaginavo di sentire il legno sotto gli stivali. ‘My bed is a chair and / I can hear you singing / purple lights are turning blue / I believe I’m here with you‘ : avevo un lampadario viola nella stanza, e la luce era viola! Ho immaginato che diventasse blu, come le luci del palco, e ho iniziato a vedere nella mia mente le persone che cantavano con me… Mi sono divertita!
È stato un esperimento che mi ha fatto provare, molto tempo prima di registrare l’album, cosa avrei provato in futuro sul palco. Nella seconda strofa e nel ritornello ho parlato direttamente ai miei futuri fan, quelle persone che ascolteranno molto spesso la mia musica, e ho voluto comunicare loro la mia gratitudine per la loro esistenza, e la mia fiducia in loro, se pur prima di incontrarli! Io scrivo musica per dare qualcosa di intenso a chi mi ascolta, e lo faccio a modo mio: raccontando storie piene di dettagli”.
Gabrielle DeRosa, l’11 novembre sarai in concerto a Nardò. Com’è il tuo rapporto con il pubblico?
“Spesso in pubblico le mie canzoni parlano più di me, ma ci sto lavorando! Non mi piace dire troppo su una canzone prima di cantarla, e non ho ancora molta esperienza con questo aspetto della performance. Cerco di comunicare al pubblico quello che sento, perché credo che questa sia la cosa più importante, e anche il ricordo che si porteranno dietro per più tempo”.
Ci sono degli artisti nazionali e internazionali che segui e che influenzano la tua musica?
“Senza dubbio la mia musica è influenzata dal country, è il mio genere musicale preferito e lo ascolto da quando ero bambina (quando neanche sapevo che si chiamasse così!). Alcuni nomi sono Jimmie Rodgers, Josh Turner, Johnny Cash, Patsy Montana e altri ancora… Non ho preferenze particolari a parte un debole per il country degli anni ‘30. Infatti è di Jimmie Rodgers la mia canzone preferita, la stessa da molti anni ormai, Kisses Sweeter Than Wine. Con gli artisti che ho nominato spaziamo dagli anni ‘30 ai giorni nostri agli anni ‘60, ecc… Poi ascolto anche altro, come l’indie folk e la musica nativo americana, un po’ di swing e qualsiasi canzone che trovo per caso e mi comunica qualcosa di personale”.
Dopo Nardò, stai pensando di fare qualche altro live?
“Sì, sono in programma altre date per la stagione invernale e a breve verranno comunicate sui social e sul mio sito nella sezione dei concerti“.