Qualche giorno fa abbiamo dato la notizia della prima pubblicazione artistica di Diego Rivera, cioè il singolo “Santa Maria al Bagno“. Visto che siamo rimasti molto incuriositi dal nuovo progetto di Carmine Tundo (La Municipàl), abbiamo deciso di fare qualche domanda all’artista per conoscere meglio obiettivo e aspirazione, anche in tempo di pandemia da Coronavirus.
Ciao Carmine. Come mai hai deciso di creare il progetto “Diego Rivera”? C’è qualche connessione con il noto pittore messicano?
“È un progetto che avevo in cantiere da un po’ di anni e durante il lockdown, con i tour annullati, ho avuto il tempo finalmente di portare a termine le registrazioni. Ho deciso di usare il nome di mio zio Diego, che non c’è più.”
Il tuo è un progetto molto “pugliese”. In che modo racconterai la tua terra d’origine attraverso la tua arte?
“La mia terra è spesso l’habitat ideale per le storie che racconto nelle mie canzoni, quindi ci sarà molto da raccontare all’interno dell’album.”
Come mai hai scelto “Santa Maria al bagno” come singolo d’apertura del tuo nuovo progetto?
“Perché parla di quel periodo in cui finisce l’estate ed i turisti vanno via, e dove anche la città si svuota facendo riemergere il suo fascino malinconico.”
Siamo in tempo di pandemia, serve la massima attenzione per la tutela artistica. A tuo avviso, cosa dovrebbero fare le istituzioni per non lasciare soli gli artisti e gli addetti ai lavori del mercato discografico e dei live?
“Credo che possa essere un periodo utile per riempire dei buchi nella legislazione. Il nostro e quello dei lavoratori dello spettacolo è un settore dove non si hanno molte tutele, spero possa essere finalmente il momento giusto per fare dei passi in avanti.”
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Durante il lockdown abbiamo ‘riscoperto’ il valore della musica come minimo comun denominatore di unione, incoraggiamento e forza. Come mai allora ha così poche tutele? È solo un problema culturale?
“Credo sia un problema culturale italiano, perché in tanti altri paesi non è così. Qui si considera spesso questo mestiere come un hobby e basta, perché tante persone non capiscono il peso della cultura ma anche del settore economico in sé, che oltre ai musicisti ha centinaia di migliaia di lavoratori in difficoltà.”
Come si fa a spiegare alla società che fare musica è un lavoro?
“Basta guardare i numeri del settore, l’industria dell’intrattenimento muove enormi cifre, come qualsiasi altro settore. Forse c’è sempre stata negligenza da parte delle istituzioni nel regolamentare per bene il tutto.”
Tempo fa era scoppiata una polemica in merito a Spotify: parafrasando il suo creatore, infatti, era venuta fuori l’idea che i brani sono dei prodotti e che per emergere bisogna produrre tante canzoni in poco tempo. Cosa ne pensi? Ritieni che sia una conseguenza di fatti e azioni andati in scena negli ultimi anni nello scenario musicale mondiale?
“Credo che ogni artista debba seguire la propria strada e fare musica come e quando ritiene giusto. Ovviamente questo lo puoi fare quando riesci a ottenere la tua indipendenza artistica, ed è molto difficile.”
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Torniamo al tuo progetto: quali sono gli obiettivi che vorresti raggiungere con “Diego Rivera”?
“Fare un bel disco.”
Ultima domanda: come stai gestendo i live, nel caso in cui li farai a nome “Diego Rivera”?
“È un progetto che si presta ad un ascolto intimo e da ‘seduto’ e quindi in questo periodo storico travagliato può essere adatto. Abbiamo già le prime date di quello che sarà il tour di presentazione del disco, sperando che la situazione sanitaria lo permetta.”